Il Papa le ha affidato la responsabilità per il Giubileo del 2025 «perché l’Anno Santo possa essere preparato e celebrato con fede intensa, speranza viva e carità operosa». Come ha accolto questa responsabilità e come è al lavoro verso il prossimo Giubileo in questo 2024 proclamato “Anno della Preghiera”?
Quando il Papa mi ha affidato l’incarico di organizzare il Giubileo, la responsabilità che ho sentito è stata veramente grande. Il Giubileo, infatti, richiede una dedizione piena, totale, perché come sappiamo i pellegrini che verranno a Roma hanno bisogno di vivere un'esperienza profonda di fede e conversione. Questo Giubileo, comunque, parla di speranza, ed è per quello che personalmente, e con tutti i miei collaboratori, ogni giorno cerchiamo di approfondire e vivere questa dimensione della speranza. Essa è ciò che ci aiuta a dare il nostro contributo più immediato a quello che sarà il grande impegno dell’accoglienza nei confronti dei pellegrini.
La speranza è il messaggio centrale che accompagna l’Anno Santo. Che cosa ha a cuore il Papa nel richiamarci alla speranza cristiana e ad essere nel mondo segni di speranza?
Il Papa con il motto “Pellegrini di speranza” ha voluto fare un richiamo molto forte non solo ai credenti ma a quanti hanno profondo bisogno di speranza, cioè a ogni uomo e ogni donna. Come si legge nella Bolla di Indizione del Giubileo, il Papa scrive: “Tutti sperano”. Noi, però, dobbiamo essere capaci di dare un contenuto a questa speranza. Ovvio, viviamo in un contesto culturale in cui il predominio della tecnica ci offre ogni giorno tante “speranze”. Ecco, il nostro compito è quello di passare da queste “speranze”, che possono essere utili e aiutarci a vivere meglio, alla speranza vera e autentica, quella che si fonda sulla persona di Gesù, che, come dice l'apostolo Paolo, “è la nostra speranza”. Abbiamo bisogno non solo di dare un annuncio “nuovo”, ma un annuncio che sia capace di attrarre, e attrarre soprattutto le nuove generazioni. Questo annuncio deve essere accompagnato da alcuni segni. Il Papa elenca una categoria lunga di persone che hanno bisogno di toccare con mano la speranza. A noi cristiani il compito e la responsabilità di rimboccarci le maniche in questo Anno Santo, per corrispondere cercando segni di speranza che siano ancora una volta il frutto della nostra fede, della nostra carità. E frutto, in particolare, dell’obbedienza all’azione della Grazia e dello Spirito, che ci consente di vedere maggiormente in profondità ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno.
Nella Bolla di Indizione del Giubileo il Papa dice: «Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell'essenzialità». Come anche il nostro pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, in questo Anno della Preghiera, può essere l’occasione per imparare a camminare con il cuore pieno di stupore e di domande, come Maria di fronte all’Angelo?
Il pellegrinaggio è il simbolo della vita dell’uomo. Mi piace ricordare quanto diceva alla fine della Seconda guerra mondiale un filosofo francese Gabriel Marcel: “Homo viator”, l’uomo è in cammino. Questo cammino però deve trasformarsi in un pellegrinaggio, altrimenti potrebbe diventare “erranza”, assenza di una meta da raggiungere. Ecco, per noi il pellegrinaggio deve essere la riscoperta di noi stessi. Sono contento di partecipare all’ormai tradizionale pellegrinaggio Macerata-Loreto, questo perché da un’intuizione originale del vescovo Giancarlo, si è creata una tradizione che raccoglie migliaia e migliaia di persone, tra cui molti giovani. Tanti pellegrini che, nel cammino notturno a piedi, - perché il vero pellegrinaggio richiede di essere fatto a piedi - vivono una profonda esperienza di fede. Soprattutto la meta finale, raggiungere la Casa di Loreto, ha ancora una volta la sua simbologia profonda: è la Vergine Maria che ci accoglie nella sua Casa, là dove Gesù ha vissuto, dove ha espresso nella sua predicazione, nei segni che ha compiuto, ciò che Dio Padre voleva da lui. Ma la cosa più importante è che in quella Casa, simbolo dell’accoglienza, della certezza, della familiarità, noi possiamo ritrovare il nostro vero rapporto con Dio. Metterci in cammino, quindi, equivale a ritrovare noi stessi ma davanti alla presenza di Dio, ed è ciò che dà significato alla nostra vita, ciò che consente a ognuno di noi di vivere questa esperienza con rinnovato entusiasmo e una fede più profonda.
foto Vatican News