Macerata-Loreto, 7 giugno 2008
1. Il vero protagonista è il mendicante
Che cosa ha portato ognuno di noi qui, questa sera? Soltanto il riconoscimento e l’avere preso sul serio il proprio bisogno umano, solo un momento di lealtà con se stessi, con la propria umanità. Perché ognuno di noi è proprio questo: bisognoso. È bello essere bisognosi, perché ci rimanda all’Unico che può rispondere a questo bisogno. Ma bisognosi di che cosa? Il Papa si domandava nella Spe salvi: «Che cosa vogliamo veramente? In fondo», diceva il Papa citando sant’Agostino, «vogliamo una sola cosa: la vita che è semplicemente vita, semplicemente “felicità”. Non c’è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient’altro ci siamo incamminati: di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente», e tuttavia «sappiamo che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti» (n.11).
Non è scontato riconoscere che ognuno di noi ha questo bisogno e che deve esistere qualcosa che non conosciamo, perché, come ci ricorda il regista Tarkovskij, «da tempo l’uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, con la sua commovente attitudine alla domanda». L’uomo ha rinunciato a essere pellegrino, vale a dire ha rinunciato a capire che la vita è un cammino verso un destino infinito, e allora «la Dimora dell’uomo non è più l’orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra nessuno e dove, perciò, comincia a dubitare della sua stessa esistenza». L’epoca contemporanea è una tragica documentazione di ciò cui l’uomo arriva nella pretesa di autonomia, di farsi da sé, di realizzarsi da sé, di crearsi da sé. Per questo la lotta è tra il mendicante, tra chi si riconosce bisognoso, e l’autosufficiente, chi pensa di non avere bisogno di niente e di bastare a se stesso. È una lotta fra due concezioni dell’uomo, fra chi appartiene a qualcosa di più grande e chi appartiene a se stesso.
Ognuno di noi sa di essere immerso in questa lotta: perciò la domanda più stringente è come venirne fuori vincitori. Per don Giussani è chiaro qual è il primo passo da compiere: l’uomo ritorna a essere se stesso quando torna a essere mendicante, a mendicare il suo traguardo, il suo destino, come un bambino che mendica la madre. Il pellegrinaggio che stiamo per compiere è un’occasione unica per ritornare a essere mendicanti. Il mendicante è l’uomo vero, l’uomo che riconosce tutta la grandezza del suo desiderio: così grande che noi non siamo in grado di rispondere da soli. Per questo, «Signore, al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio» (Is 26, 8). La cosa più stupefacente è che vedendoci così bisognosi il Signore è diventato lui stesso mendicante di noi.
2. «Cristo mendicante del cuore dell’uomo»
Chi guarda questa mendicanza di Cristo del nostro cuore non può non essere colpito: «Che cosa mai è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Sal 8, 5).
È la notizia arrivata a quella ragazza di 15/17 anni, a Nazareth, che la fa esultare di gioia, come si esprime lei stessa davanti a Elisabetta: «Il Signore ha guardato l’umiltà» - il niente - «della sua serva» (Lc 1, 48). Il Cristianesimo è l’annuncio di questa notizia, di questo sguardo nuovo, pieno di compassione, di Cristo per ognuno di noi. Per farsi riconoscere Dio è entrato nella storia, nella vita di ogni uomo, come uomo, secondo una forma umana: e così il pensiero e tutta l’affezione sono stati “bloccati”, calamitati, diceva don Giussani. Chi ha incrociato questo sguardo è rimasto segnato, investito da una gioia senza pari, come successe a quel pubblicano di Gerico, quando Gesù lo guardò e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19, 5), in fretta corse pieno di gioia. È questo sguardo che attraversa il Vangelo: quando Gesù, rivolgendosi alla gente, dice - come dice adesso a ognuno di noi -: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt 10, 30); o alla donna che va a seppellire il figlio: «Donna, non piangere» (Lc 7, 13); queste espressioni dicono tutta la tenerezza di Cristo nei nostri confronti.
Questo è il nostro valore: noi, che non siamo niente, siamo stati guardati - siamo guardati ora - così, e perciò chi ha incontrato questo sguardo non ha potuto non essere preso fino al midollo. Da allora tutti quelli che lo hanno incrociato sono diventati, anche loro, mendicanti di Cristo.
3. «Il cuore dell’uomo mendicante di Cristo»
«Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo»: come noi facciamo questa sera, cercando di immedesimarci con la Madonna, che lasciava entrare questo sguardo; come hanno fatto i discepoli, che appena hanno trovato quell’uomo sono stati così calamitati dalla sua presenza che non hanno potuto evitare di andarlo a cercare il giorno dopo; o Paolo, il fariseo che, dopo averlo incontrato, dice: «Tutto quello che prima consideravo guadagno l’ho considerato una perdita, a motivo di Cristo;
non però che io abbia conquistato il premio: solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anche io sono stato conquistato da Cristo» (Fil 3, 7-12). Anche noi siamo tutti stati conquistati da Cristo, e per questo oggi siamo venuti qua per correre, per conquistarlo ancora, perché tutta la nostra vita sia investita dalla Sua presenza. Come accadde a San Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20). Lasciare entrare questa presenza si chiama memoria: è quello che consente che tutte le nostre prigioni diventino luogo di respiro, che qualsiasi circostanza, anche la più brutta, possa essere investita da un respiro e da una novità. La vita ci è stata data per questo: per riconoscere sempre di più che cos’è Cristo. Che qualsiasi circostanza ci capiti di affrontare o di vivere, che qualsiasi dolore, qualsiasi sofferenza, possano essere luogo, occasione in cui Cristo svela se stesso e ci fa capire di più fino a che punto Lui ama la nostra vita e vuole cambiarla, farla diventare grande.
Amici, percorriamo la strada verso Loreto coscienti del nostro niente, perché altrimenti saremmo formali, incoscienti del nostro bisogno. Non abbiamo altro, per sostenere la strada, se non questo nostro bisogno, con gli occhi fissi alla Madonna, «di speranza fontana vivace» (Dante, Par. XXXIII, 12), guardando Lei senza censurare niente. Ecco come la nostra vita può riempirsi di speranza. Qualunque sia il momento che attraversiamo, andiamo verso di Lei con tutto il nostro bisogno, perché Cristo possa riempire la nostra vita della sua Presenza.